[Parafrasi e Commento] I Fiumi

Giuseppe Ungaretti

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    Giuseppe Ungaretti: I Fiumi

    Mi tengo a quest’albero mutilato
    Abbandonato in questa dolina
    Che ha il languore
    Di un circo
    Prima o dopo lo spettacolo
    E guardo
    Il passaggio quieto
    Delle nuvole sulla luna

    Stamani mi sono disteso
    In un’urna d’acqua
    E come una reliquia
    Ho riposato

    L’Isonzo scorrendo
    Mi levigava
    Come un suo sasso
    Ho tirato su
    Le mie quattro ossa
    E me ne sono andato
    Come un acrobata
    Sull’acqua

    Mi sono accoccolato
    Vicino ai miei panni
    Sudici di guerra
    E come un beduino
    Mi sono chinato a ricevere
    Il sole

    Questo è l’Isonzo
    E qui meglio
    Mi sono riconosciuto
    Una docile fibra
    Dell’universo

    Il mio supplizio
    È quando
    Non mi credo
    In armonia

    Ma quelle occulte
    Mani
    Che m’intridono
    Mi regalano
    La rara
    Felicità

    Ho ripassato
    Le epoche
    Della mia vita

    Questi sono
    I miei fiumi

    Questo è il Serchio
    Al quale hanno attinto
    Duemil’anni forse
    Di gente mia campagnola
    E mio padre e mia madre.

    Questo è il Nilo
    Che mi ha visto
    Nascere e crescere
    E ardere d’inconsapevolezza
    Nelle distese pianure

    Questa è la Senna
    E in quel suo torbido
    Mi sono rimescolato
    E mi sono conosciuto

    Questi sono i miei fiumi
    Contati nell’Isonzo

    Questa è la mia nostalgia
    Che in ognuno
    Mi traspare
    Ora ch’è notte
    Che la mia vita mi pare
    Una corolla
    Di tenebre





    PARAFRASI:
    Mi tengo a quest'albero spezzato, isolato e abbandonato dal consorzio umano, in questa dolina, che è priva di vitalità come un circo nel momento precedente e successivo allo spettacolo, e osservo le nuvole che passano sulla luna. Questa mattina mi sono disteso sull'acqua, quasi fossi in un'urna, e ho riposato come una reliquia. Le acque dell'Isonzo mi levigavano come se fossi un sasso. Mi sono alzato e me ne sono andato come un acrobata che cammina sull'acqua. Mi sono seduto vicino alle mie vesti sporche per la guerra, e come un beduino mi sono chinato a prendere il sole. Questo fiume è l'Isonzo, e qui meglio ho potuto vivere l'esperienza di sentirmi in comunicazione con la natura, come una docile fibra dell'universo. La mia sofferenza è causata dal non sentirmi in armonia con ciò che mi circonda. Ma quelle mani nascoste nell'Isonzo che mi stringono nell'acqua, mi regalano una felicità che è rara a trovarsi. Ho ritrascorso le età della mia vita. Questi sono i miei fiumi. Questo è un Serchio, al quale hanno attinto forse per duemila anni i miei antenati campagnoli e i miei genitori. Questo è il Nilo, vicino al quale sono nato e cresciuto, inconsapevole del mio destino, trascorrendo la mia fanciullezza nelle estese pianure. Questa è la Senna, e in quella sua acqua fangosa mi sono rimescolato acquisendo la consapevolezza di me stesso. Questi sono i miei fiumi che confluiscono nell'Isonzo, ma che sono distinguibili gli uni dagli altri. Questa è la mia nostalgia, che traspare dal ricordo di ognuno di loro, ora che è notte, e che la mia vita mi sembra un fiore (l'essenza del fiore) circondato dalle tenebre. “ la pioggia nel pineto” - d'annunzio Taci. Entrando nel bosco non odo più suoni umani; ma odo parole insolite pronunciate dalle gocce e foglie che cadono in lontananza. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove sulle tamerici impregnate di salsedine ed arse dal sole, sui pini dalle scorze ruvide e dalle foglie aghiformi, sui mirti sacri a Venere, sulle ginestre dai gialli fiori raccolti sui ginepri che sono pieni di bacche profumatissime, Piove sui nostri volti divenuti tutt'uno con il bosco piove sulle nostre mani nude, sul nostro corpo, sui nuovi pensieri sbocciati dall'anima rinnovata sull'illusoria favola dell'amore che ieri t'illuse, che oggi m'illude o Ermione. Odi? La pioggia che cade sul fogliame della pineta deserta producendo un crepitio che dura e varia secondo quanto è folto il fogliame. Ascolta. Alla pioggia risponde il canto delle cicale che non è fermato né dalla pioggia né dal colore scuro del cielo. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancora, e le gocce di pioggia sono come miriadi di dita che fanno suonare diversamente queste piante. Noi siamo nel più intimo della foresta, non più esseri umani ma vivi d'una vita vegetale; E il tuo volto bagnato ed inebriato dalla gioia e le tue chiome profumano come le ginestre, o creatura originata dalla terra


    COMMENTO:
    Il poeta si immerge nell`Isonzio, il fiume della Venezia Giulia, nei cui pressi si sono combattute tante battaglie della prima guerra mondiale. Guardando le sue acque, il poeta ritorna indietro nel tempo, ricordando altri fiumi che hanno caratterizzato la sua vita. Il Serchio, il fiume della Lucchesia, ha visto nascere i suoi genitori; il Nilo, il fiume egiziano, gli ha dato i Natali; la Senna, il fiume di Parigi, ha assistito alla sua maturazione psico-culturale. La lirica ha quindi un valore autobiografico. Passando in rassegna i fiumi dei luoghi per lui piu significativi, il poeta rivisita la sua vita passo per passo: la terra dei suoi avi; il paese dove e` nato, quello dove ha studiato. Questo percorso a ritrorso e` favorito dal rapporto armonico con la natura in cui egli si sente immerso: lasciandosi cullare dalle onde dell`Isonzo, il poeta ritorna indietro nel tempo, facendo riaffiorare i ricordi del proprio passato nei confronti del quale prova grande nostalgia, visto il dramma della guerra che caratterizza il presente. La poesia rappresenta quindi la presa di coscienza, da parte del poeta, dell`assurdità della guerra, di come essa turbi l`armonia della natura e renda tutto incerto e precario.


    COMMENTO Alternativo:
    Un uomo immerso in un fiume: così si presenta Ungaretti in questa sua celebre poesia. Il bagno nel'Isonzo riporta il poeta a tutti i fiumi della sua vita, dal Serchio, che simboleggia Lucca, città d'origine dei genitori, al Nilo, che rimanda alla città natale, Alessandria d'Egitto, per finire con la Senna, fiume parigino sulle rive del quale trascorse parte della sa giovinezza.
    Eccolo dunque attaccato ad un albero mutilato. Si discute spesso se l'aggettivo abbandonato sia rivolto al poeta o al tronco: preferisco la prima ipotesi, è il poeta che si abbandona al ricordo, alla corrente dei pensieri che dal fiume arriva fin su nel cielo, con quelle nuvole che sfiorano la luna. La metafora del circo è di una eccezionale potenza iconografica e prosegue fino al verso in cui si parla di un acrobata sull'acqua. Vale la pena sottolineare anche il valore della parola circo: è l'acqua che circola, così come il tempo che ritorna per fondere il presente ed il passato in un urna d'acqua in cui un vivo sta come una reliquia.
    Nel contempo, in questi primi versi, emerge l'altro tema della poesia: l'armonia con la natura. Ed ecco il fiume che sfiora il corpo del poeta quasi a levigarlo come se fosse un sasso, ed ecco il riconoscersi come fragile fibra dell'universo. Poi, come uno sparo, nei versi centrali, esattamente a metà del componimento, arriva la confessione, intima e sofferta: il mio supplizio è quando non mi credo in armonia. In fondo il dolore e la tristezza sono proprio sentimenti legati alla disarmonia: soffre chi si sente tagliato fuori, chi non riesce a coniugare volontà e potere, aspirazioni e realtà. E' un dolore privato, che lascia soli, testimoniato dall'aggettivo mio, riferito al supplizio.
    In questa circostanza il poeta però non è solo: il fiume lo stringe in un abbraccio e gli regala la rara felicità, l'armonia con la natura. Proprio dentro questo avviluppamento armonico, Ungaretti ripercorre tutto lo scorrere dei sui anni, in un flusso in cui il passato diviene presente: e l'Isonzo diventa tutti i fiumi, quelli di paese, quelli d'Egitto, quelli di Parigi, tutti i fiumi sono questo fiume.
    La poesia si chiude con il sentimento della nostalgia e con l'immagine di una corolla di tenebre: dopo tanta acqua, un fiore nero, oscuro ma vitale, qualcosa di vago e indefinito che non si può dire e nemmeno contare, a differenza dei fiumi contati nell'Isonzo. Forse quella corolla chiusa è tenebrosa è solo un bel fiore, un futuro di petali che deve ancora del tutto sbocciare.
     
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